col fine di colpire ed emarginare una persona, in questo caso un collega.
Il termine “mobbing” (dall’inglese “to mob”, verbo che significa “aggredire, attaccare”) è ormai da diverso tempo entrato nel linguaggio giuridico, ma anche comune, per indicare il bullismo in ambito lavorativo.
Il fenomeno del mobbing ha in seguito trovato rilievo anche nelle aule di tribunale. In assenza di una apposita normativa, la giurisprudenza ha definito il mobbing come una serie di atti o comportamenti vessatori, protratti nel tempo, posti in essere nei confronti di un lavoratore da parte dei membri dell’ufficio o dell’unità produttiva in cui è inserito o da parte del suo datore di lavoro, caratterizzati da un intento di persecuzione ed emarginazione finalizzato all'obiettivo primario di escludere la vittima dal gruppo.
Un caso famoso vicino noi è stato quello degli episodi di mobbing della Gilardoni: Maria Cristina Gilardoni, figlia del fondatore della storica azienda di Mandello del Lario. Le accuse sono state multiple, ed addirittura i lavoratori sono arrivati a raccontare una serie di vessazioni considerate da tutti al di là del tollerabile. La titolare e il suo braccio destro Redaelli «maltrattavano i dipendenti minacciandoli, insultandoli e denigrandoli», scrive il magistrato, e anche «attivando nei confronti di alcuni di loro procedimenti disciplinari con irrogazione di gravi sanzioni e conseguente licenziamento, in alcuni casi inducendo il lavoratore stesso a dare le dimissioni». Risultato: dai 209 dipendenti del 2013 si è passati ai 162 di fine 2015.
Sfortunatamente, non tutti i casi di mobbing ottengono questa rilevanza e purtroppo ci sono casi in cui il lavoratore può sentirsi isolato e senza via di uscita.
In base ai soggetti coinvolti e alla loro posizione nella gerarchia dell’azienda o dell’ufficio, possiamo parlare di diversi tipi di mobbing. Mobbing verticale, quando coinvolge soggetti collocati a diversi livelli della scala gerarchica. Qui a sua volta bisogna distinguere fra: discendente -quando i comportamenti aggressivi e vessatori sono posti in essere dal datore di lavoro o da un superiore gerarchico della vittima, chiamato anche “bossing”- o invece ascendente, quando viceversa è un lavoratore di livello più basso ad attaccare un soggetto a lui sovraordinato. Infine parliamo di mobbing orizzontale, quando la condotta mobbizzante è posta in essere da uno o più colleghi posti allo stesso livello della persona che ne è bersaglio.
Come accennato sopra, ad oggi nell’ordinamento italiano non esiste ancora una disciplina specificamente dedicata al fenomeno del mobbing: ciononostante, sono diverse le norme che – tutelando la salute, la sicurezza ed il benessere dei lavoratori – consentono di attribuire rilievo alle condotte vessatorie che si sono in precedenza descritte. Se parliamo a livello costituzionale, l’art. 4 Cost., secondo cui la Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto; l’art. 3 Cost., che sancisce il principio di uguaglianza tra i cittadini e vieta ingiustificate discriminazioni tra di essi, attribuendo alla Repubblica il compito di attivarsi per l’effettiva realizzazione di tale obiettivo; Parlando del codice civile invece:
l’art. 2087 c.c., che impone al datore di lavoro di adottare tutte le misure che, secondo le particolarità dell’attività svolta, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro;
Insieme a questi, il lavoratore può anche trovare una tutela in altre fonti, come ad esempio la L. 300/1970 (Statuto dei lavoratori), il cui art. 15, in particolare, sancisce la nullità di patti o atti diretti a realizzare forme di discriminazione sul luogo di lavoro; o anche il D.Lgs. 81/2008 (Testo unico per la sicurezza sul lavoro), il cui art. 28 impone di considerare tra i rischi per la salute dei lavoratori anche quelli derivanti da condizioni di stress lavoro-correlato.
Non esiste nella legislazione vigente uno specifico reato di mobbing. Tuttavia, considerata la varietà di forme che le condotte persecutorie possono assumere nei casi concreti, alcuni dei comportamenti posti in essere dal mobber potrebbero talvolta integrare fattispecie criminose previste dal codice penale a tutela dell’incolumità individuale, dell’onore, della libertà personale e morale. Una volta verificato che ci siano i requisiti imposti dalla legge, è possibile procedere alla pratica. Per difendersi dal mobbing sul lavoro è possibile sporgere una denuncia. Gli strumenti che il mobbizzato ha a disposizione sono:
Lettera di diffida: da inviare al proprio datore di lavoro, comunicando gli atti che continuano a verificarsi da parte dei superiori e i danni piscologici che ha subito;
Denuncia per mobbing: in ogni città si trovano uno sportello adibito a questi episodi dove è possibile far presente l’accaduto alle autorità competenti;
Tuttavia come tutti i casi legali è consigliabile di rivolgersi ad un professionista per capire quale è il miglior modo di approcciare la situazione.
Referenze:
https://www.altalex.com/documents/codici-altalex/2013/12/19/costituzione-italiana#art2
https://quifinanza.it/lavoro/mobbing-sul-lavoro-come-capire-quando-denunciare/53373/