L’accesso delle donne ad alcune professioni e soprattutto ai ruoli gestionali e dirigenziali risulta essere ancor oggi problematico: anche nei contesti che hanno assistito ad un notevole processo di femminilizzazione, come ad esempio nel caso della pubblica amministrazione, permane infatti quel “soffitto di cristallo” che continua a tenerle escluse dalle posizioni apicali.
La segregazione verticale a cui sono obbligate le donne si traduce nel sempre più popolare fenomeno del “soffitto di cristallo” o “glass ceiling”, espressione coniata da due reporter del Wall Street Journal nel 1986 per descrivere la barriera invisibile che impedisce alle donne di accedere ai posti di maggiore responsabilità.
In Italia rappresentano solo il 4% dei membri degli organi decisionali delle più grandi società quotate in borsa e tra le società non quotate in borsa le donne rappresentano ancora solo un terzo del mondo imprenditoriale (34,7% a fronte della quota maschile del 65,3%).
Va specificato che la componente femminile non solo è quasi completamente assente dai ruoli decisionali e di management, ma anche occupa posizioni caratterizzate da una minore retribuzione (sanità, educazione e pubblica amministrazione), con delle notevoli conseguenze in termini di dipendenza economica, di percezione di redditi da pensione più bassi e di conseguenza di maggiore esposizione al rischio di povertà.
A fronte dei mutamenti sociali degli ultimi decenni, non è possibile soffermarsi unicamente su una lettura focalizzata sulle scelte individuali che guarda alle donne come una categoria omogenea. Sembrerebbero più efficaci, invece, le interpretazioni che considerano le strutture sociali come pervasive e capaci di condizionare le opportunità di donne e uomini nel mercato del lavoro e, soprattutto, le analisi che si concentrano sui modelli culturali e le pratiche organizzative che producono e ripropongono le disparità di genere nei luoghi di lavoro.
Innanzitutto, un primo elemento da tenere presente riguarda il sistema educativo.
Le analisi informano che il livello di istruzione ha una influenza molto elevata sui modelli di partecipazione delle donne al mercato del lavoro, e la rilevante crescita della scolarizzazione femminile ha certamente aumentato l’orientamento femminile al lavoro. Va tuttavia ricordato il fenomeno della segregazione formativa, ovvero dalla diversa distribuzione di ragazzi e ragazze all’interno dei percorsi di studio, con una sotto-rappresentazione femminile nelle filiere tecnico-scientifiche, che offrono maggiori opportunità di accesso e di sviluppo professionale rispetto a quelle umanistiche, in cui invece le ragazze sono ampiamente presenti. Una seconda dimensione di rilievo ha a che fare con il sistema di welfare familistico italiano, fortemente carente in termini di servizi pubblici e privati e per giunta basato su un modello familiare asimmetrico, in cui le attività di cura ricadono maggiormente sulle spalle delle donne. Ma l’ambito che si ritiene più significativo per dare conto del permanere dell’asimmetria di genere è quello organizzativo.
Infatti, è proprio all’interno delle organizzazioni che il soffitto di cristallo esercita la sua pressione invisibile, attraverso i modelli manageriali e le pratiche organizzative dominanti che contribuiscono a definire percorsi professionali e opportunità di sviluppo diverse per uomini e donne. Tra queste potremmo richiamare i meccanismi di selezione e promozione, che, spesso in contesti a dominanza maschile, tende a facilitare l’ingresso e l’avanzamento di altri uomini. Va inoltre rilevato il prevalere di modelli di organizzazione del lavoro e di valorizzazione delle carriere che privilegiano una presenza fisica prolungata (face-time) a discapito dell’efficacia e del raggiungimento degli obiettivi, di conseguenza negando la possibilità di dedicare tempo e spazio in maniera più attiva ad altri contesti di vita. Questo orientamento spiega anche la contrapposizione tra conciliazione e carriera, ovvero il fatto che spesso nelle organizzazioni l’utilizzo di strumenti di conciliazione tra vita lavorativa e vita personale sia percepito come alternativo allo sviluppo professionale. A questo proposito nella letteratura anglosassone si utilizza l’immagine della mommy track, intesa come la traiettoria che le organizzazioni tendono a rendere disponibile alle madri, marginale e alternativa rispetto alle carriere verticali, tipicamente seguite dagli uomini. Non è un caso, per l’appunto, che le opportunità di conciliazione nelle aziende siano rivolte in misura prevalente se non esclusiva alle donne, continuando così a riprodurre lo stereotipo che la gestione dei compiti di cura sia una loro prerogativa.
Negli ultimi decenni sono stati promossi e realizzati molti interventi ed azioni per affrontare il problema delle asimmetrie di genere nel mercato del lavoro. Tuttavia, questi interventi si sono dimostrati poco efficaci nel contrastare la problematica della disparità nelle carriere lavorative di donne e uomini, ed anzi in alcuni casi hanno contribuito a consolidarla.
Un primo passo per sviluppare azioni in grado di incidere sugli stereotipi e sui modelli culturali che presuppongono ambiti di pertinenza e proiezioni identitarie diverse per uomini e donne potrebbe essere mosso nell'ambito dei percorsi formativi. Ciò può essere fatto a partire dai luoghi e dai contesti educativi primari, lavorando sia sui bambini e le bambine, sia sugli attori sociali (in particolare educatori ed insegnanti) che presiedono e accompagnano i loro processi di costruzione identitaria, sia sugli artefatti simbolici e culturali attraverso cui questi modelli sono veicolati e legittimati.
Un importante ambito di azione può poi certamente essere quello delle politiche sociali e del lavoro. In questo caso appare opportuno promuovere interventi normativi che non si limitino a favorire l’accesso delle donne al mercato del lavoro (ad esempio attraverso interventi a sostegno dell’imprenditorialità femminile, l’incentivazione del part-time, gli sgravi alle imprese che assumono personale femminile), ma che incidano anche sulle asimmetrie legate all’avanzamento professionale, favorendo iniziative mirate ad abbattere le tradizionali asimmetrie di genere.
Un altro ambito di intervento è infine quello organizzativo. In primo luogo appare necessario evitare interventi rivolti in via esclusiva alle donne, mentre è opportuno puntare su azioni che mettano in discussione le pratiche organizzative dominanti, tra cui in particolare i meccanismi di selezione, valutazione e promozione del personale, il sistema del face-time, la gestione degli strumenti di conciliazione, i processi di contrattazione. Inoltre, potrebbe essere particolarmente importante lavorare sulla sensibilizzazione e la formazione delle figure manageriali in merito alla gestione delle differenze di genere nelle organizzazioni, in modo da decostruire e mettere in discussione le pratiche dominanti di lavoro e di gestione e le loro implicazioni per i rapporti di genere nei contesti professionali.
La complessità e la pervasività del fenomeno della segregazione verticale rendono opportuno evitare ricette standardizzate e richiedono azioni in grado di intervenire su diversi livelli, ovvero implicano il coinvolgimento di una pluralità di attori organizzativi, tra cui soprattutto quelli che vestono posizioni decisionali.
Solo agendo contemporaneamente su queste diverse aree può essere possibile infrangere la barriera invisibile e resistente che fino ad oggi ha trattenuto la gran parte delle donne italiane al di sotto delle posizioni che avrebbero potuto ricoprire, con maggiore beneficio della nostra economia, della nostra società e anche della qualità della nostra vita democratica.
Early draft of the article “Sotto il tetto di cristallo: scenari, cause e strategie per infrangerlo”, Annalisa Murgia and Barbara Poggio, published in Dialoghi Internazionali, n. 15, 2011: 75-81.