Si tratta della crisi economica che ci spinge ad essere più produttivi nel tentativo di evitare il licenziamento o di un nostro impulso incoercibile ad andare sempre oltre le richieste professionali nel tentativo di appagare uno scopo carrieristico?
La Dipendenza dal lavoro o workaholism, detta anche work addiction è stata introdotta nel 1971 da Oates, per indicare il bisogno incontrollabile di lavorare incessantemente, così da rientrare nel novero delle New Addiction, assieme alla Internet Addiction, Shopping Compulsivo ed altre. Essa, tuttavia, si differenzia dalle classiche dipendenze comportamentali, poiché non si riferisce, come per l’uso di sostanze, al ricorso ad un agente esterno per l’ottenimento diretto di un appagamento istantaneo, bensì ad un’attività che richiede uno sforzo finalizzato alla produzione di un lavoro o di un sevizio, per il quale si prevede una remunerazione.
L’attività lavorativa, pertanto, diventerebbe una sorta di scappatoia impiegata dal soggetto per evitare emozioni negative, relazioni o responsabilità. Nonostante si tratti di un tema dibattuto da diversi anni, la workaholism, per la sua stessa correlazione con un’attività quotidiana, quella lavorativa, indispensabile e di interesse comune, sembrerebbe non essere riconosciuta dalla società, al momento, come un disagio patologico (Oates, 1971).
I sintomi più ricorrenti nella workaholism sono:
· Tempo eccessivo dedicato volontariamente e consapevolmente al lavoro (più di 12 ore al giorno, compresi weekend e vacanze) non dovuto a esigenze economiche o a richieste lavorative;
· Pensieri ossessivi e preoccupazioni collegati al lavoro (scadenze, appuntamenti, timore di perdere il lavoro);
· Poche ore dedicate al sonno notturno con conseguenti irritabilità, aumento di peso, disturbi psicofisici;
· Impoverimento emotivo, sbalzi di umore e facile irritabilità;
· Sintomi di astinenza in assenza di lavoro (ansia e panico);
· Abuso di sostanze stimolanti come la caffeina. (Castiello d’Antonio, 2010).
Secondo questa definizione il lavorare eccessivamente rappresenta la componente comportamentale del costrutto che indica che gli stacanovisti del lavoro dedicano una quantità eccezionale del loro tempo e della loro energia per lavorare andando al di là di quanto sarebbe necessario rispetto alle richieste organizzative o economiche. Lavorare compulsivamente rappresenta la dimensione cognitiva della workaholism ed implica che i workaholic sono ossessionati dalla loro professione e pensano costantemente al lavoro, anche quando non stanno lavorando. Pertanto, i maniaci del lavoro tendono a lavorare di più di quanto sia necessario, proprio perché spinti da un impulso interno (Bakker & Schaufeli, 2008).
La motivazione al successo, in particolare, può essere definita come la necessità di realizzare obiettivi complessi ed ambiziosi che richiedono il superamento di ostacoli, di pensare e agire rapidamente, accuratamente ed in maniera autonoma, oltre che competere e superare gli altri ottenendo un riconoscimento immediato e la ricompensa ai propri sforzi.
La workaholism può svilupparsi quando i dipendenti percepiscono che il lavorare oltre l’orario di lavoro anche a casa, nei fine settimana o durante le vacanze, sia considerata una condizione indispensabile per il successo e l’avanzamento di carriera. La combinazione di questi valori percepiti da parte dei dipendenti nel loro ambiente di lavoro è descritta, nello studio di Mazzetti, col termine overwork climate.
Malgrado alcuni dei limiti individuati, gli autori sostengono l’utilità dei loro risultati per la progettazione di interventi finalizzati ad impedire la promozione e la riacutizzazione della workaholism. Potrebbe essere più utile per le organizzazioni, ad esempio, creare un ambiente che non premi il lavoro correlato ad un comportamento compulsivo, piuttosto sensibilizzare i manager e i dirigenti, quindi le categorie più vulnerabili alla workaholism, a promuovere una serie di modelli comportamentali che favoriscano un equilibrio tra lavoro e vita sana, stimolando un lavoro intelligente ed efficace ma sicuramente meno estenuante.
Referenze:
Oates, W.E., 1971. Confessions of a workaholic: The facts about work addiction. World Publishing Company.
Castiello d’Antonio, A., 2010. Malati di lavoro. Cos’ è e come si manifesta il Workaholism. Editore: Cooper. Ergonomia, 34(1).