Sono nepalesi, indiani e provenienti da altri paesi del Sud-Est asiatico i lavoratori che si stabiliscono in Qatar e soffrono di piu’ per costruire le infrastrutture che serviranno a ospitare i Mondiali di calcio del 2022. Lavorano 10 ore al giorno nei cantieri e guadagnano meno di 200 dollari al mese, fra l’altro non garantiti: fra le violazioni riportate nell’inchiesta del Guardian vi sono il mancato pagamento dello stipendio e il ritiro del passaporto. Sono costretti a lavorare anche con temperature che superano i 40 gradi e molti hanno denunciato di non aver accesso ad acqua potabile.
Il Qatar ha una popolazione complessiva di 2.035.106 abitanti, di cui circa il 20% composto da nepalesi. I cittadini qatarini sono meno di 300 mila, quasi la metà rispetto ai cittadini indiani che vivono in Qatar. Oltre il 90% della forza lavoro nel paese è straniera, e nel prossimo decennio l’emirato è pronto ad assumere un altro milione di lavoratori stranieri per la costruzione delle infrastrutture per i Mondiali 2022.
Secondo i dati dell’ambasciata del Nepal a Doha, sarebbero 44 i nepalesi morti in Qatar tra il 4 giugno e l’8 agosto di quest’anno, di cui più della metà per infarto o incidente sul lavoro. Il giorno stesso della pubblicazione di questi dati, l’ambasciatrice del Nepal a Doha, Maya Kumari Sharma, è stata richiamata in patria perché il suo comportamento non seguiva il decoro diplomatico, o almeno così ha dichiarato ad Agence France-Presse (AFP) il ministro delle Comunicazioni del Nepal, Madhav Paudel. Il giorno seguente, l’ambasciata dell’India a Doha ha fatto sapere che quasi ogni giorno d’agosto in media è morto un cittadino indiano.
I lavoratori stranieri sono “ospitati” in “campi di lavoro” siti nelle aree industriali o nei quartieri periferici della città. “Al campo di lavoro ci fornivano solo l’acqua, e soltanto a volte, il resto lo abbiamo dovuto comprare. Abbiamo condiviso una stanza in sei persone, avevamo 12 bagni per 120 persone e una cucina per 20 persone” riprende Aardash: “Per il cibo c’era un solo negozio, appena al di fuori del campo, e nessun altro negozio nelle vicinanze”. Dopo i loro spostamenti i lavoratori, si legge nel Report, tornano nei “campi di lavoro sovraffollati e squallidi, con servizi limitati, nessun accesso all’acqua potabile e poche possibilità di ripararsi dal caldo. Molte parti di Doha, inoltre, sono designate come ‘zone di famiglia’: sono quindi off-limits per i lavoratori migranti, limitando ulteriormente la loro libertà di circolazione”.
La Kafala, usata anche in Arabia Saudita, Libano, Oman, Iraq, Kuwait e Giordania e la norma che definisce le modalità d'uscita dal paese degli stranieri. Il sistema della Kafala prevede che il datore di lavoro faccia da "sponsor" e diventi responsabile del visto e dello status sociale del migrante, innescando un sistema di ricattabilità che spesso sfocia nel lavoro forzato. Nel secondo caso invece, il principale può monitorare gli spostamenti del dipendente fino al punto di poter vietargli l'uscita dal paese. Sponsorizzazione e norme d'uscita sono solo due delle gravi violazioni riportate dalle organizzazioni umanitarie. A queste vanno aggiunti salari irrisori, condizioni di lavoro insicure, abusi fisici e psicologici e povertà estrema.
Il governo del Qatar non ha ancora attuato nessuno dei cambiamenti più importanti, come l'abolizione del permesso di uscita e la revisione del sistema di sponsorizzazione abusiva".
Insomma, ciò che è stato fatto finora è insufficiente. Non agendo rapidamente per contrastare la violazione dei diritti dei lavoratori, il Qatar rischia di danneggiare seriamente la sua credibilità e mettere in discussione il suo ruolo rispetto ai diritti umani".
Referenze:
Gardner, Andrew. Engulfed: Indian Guest Workers, Bahraini Citizens, and the Structural Violence of the Kafala System. Engulfed: Indian Guest Workers, Bahraini Citizens, and the Structural Violence of the Kafala System; New York University Hagop Kevorkian Center For Near Eastern Studies, New York, NY. 2010.
Bajracharya, R. and Sijapati, B., 2012. The Kafala system and its implications for Nepali domestic workers. Policy Brief, 1.