La situazione non solo colpisce gli stati uniti ma anche Europa. Cosi lo dimostra uno studio condotto dalla realtà di risorse umane SD Worx, dove c’è stato un incremento nel numero di dimissione volontarie come ad esempio Germania 6%, Regno Unito 4,7%, Paesi Bassi 2,9%, Francia 2,3% e Belgio 1,9%.
Italia non è una eccezione, come descritto nelle comunicazioni obbligatorie pubblicate dal ministero del lavoro italiano relative al trimestre 2021, nel secondo trimestre del 2021 si è verificato un aumento di dimissioni volontarie. Bisogna chiarire che il primo trimestre era in linea con altri anni. Nel secondo trimestre invece l’incremento nel numero di dimissioni rispetto al trimestre precedente è ben del 37 per cento. La crescita è addirittura dell’85 per cento se si fa il paragone con il secondo trimestre del 2020 e anche in un confronto con il 2019 il numero di dimissioni risulta più alto del 10 per cento. Questi dati fanno riflettere sulle possibili ragioni che portano alle persone a cessare i loro rapporti di lavoro. Chi sono i lavoratori che stanno lasciando il vecchio lavoro? Cosa c’entra il Covid? E dopo le dimissioni trovano subito impiego, magari in un altro settore?
Come descritto nel Censis 2021, otto italiani su dieci, l’82,3% per l’esattezza, ritengono di meritare di più nel lavoro e il 65,2% nella propria vita in generale. Ed effetivamente in uno studio di Indeed – una delle più grandi piattaforme online per l’incontro di domanda e offerta di lavoro, che opera anche in Italia – sottolinea come la pandemia abbia spinto molte persone a ricercare lavori più impegnativi e gratificanti. La presenza di molti strumenti di sostegno al reddito introdotti o potenziati con la pandemia ha reso possibile questa pausa, che è stata dedicata alla ricerca di un lavoro più soddisfacente. Tuttavia, un’altra causa delle dimissioni di massa è ritenuta essere la sindrome da burnout, vale a dire una situazione professionale percepita come logorante dal punto di vista psicofisico. Il lavoratore, non disponendo di risorse comportamentali e cognitive adeguate a fronteggiare questa sensazione di esaurimento fisico ed emotivo, decide di lasciare il lavoro. Esemplificativo appare il caso di infermieri, medici e altri operatori sanitari che negli ultimi due anni, con la pandemia, hanno avuto un sovraccarico di lavoro molto stressante. Le dimissioni in questo settore sono state numerose. Ma anche nel comparto informatico e tecnologico, dove gli addetti hanno tratto grandi vantaggi nel lavorare nel settore che ha prosperato di più durante la pandemia. L’andamento positivo del settore, presumibilmente, ha indotto molti ad abbandonare il precedente lavoro alla ricerca di migliori compensi e di una maggiore autonomia in termini di luogo e di flessibilità degli orari.
Non è ancora chiaro se all’esodo dal lavoro segua la ricerca di una nuova occupazione oppure un’interruzione temporanea dell’attività lavorativa, come la lenta ripresa dell’occupazione farebbe pensare. Questo fenomeno potrebbe avere natura transitoria se a provocarlo fossero stati motivi contingenti come la cassa integrazione legata al Covid, o invece potrebbe essere più duraturo se la crisi pandemica avesse avviato un fenomeno di riallocazione dei lavoratori creando le condizioni per il passaggio da settori in difficoltà a settori in crescita come quelli relativi alla salute, all’informatica e alle nuove tecnologie.
Dobbiamo chiederci, se dopo la situazione pandemica, il mercato del lavoro tornerà come prima? Il primo scenario possibile è il ritorno alla "normalità". Può darsi che la pandemia abbia in qualche modo avuto un effetto di congelamento sul nostro mercato del lavoro e che anche le politiche messe in atto per traghettare il mercato nel modo più sicuro durante la crisi abbiano provocato questo 'scongelamento' una volta che vediamo la luce. Potrebbe trattarsi anche di dimissioni programmate o posticipate anche a seguito del blocco dei licenziamenti. Se invece la situazione si mantenesse su questi livelli saremmo di fronte a un cambio di mentalità importante. Se invece la situazione si mantenesse su questi livelli saremmo di fronte a un cambio di mentalità importante.
Comunque, perché si possano trarre delle indicazioni attendibili sul futuro del mercato del lavoro, sono necessari studi su una base statistica più estesa che indaghino sulle traiettorie dalle dimissioni a un nuovo lavoro. Se l’incremento delle dimissioni dovesse consolidarsi, ci sarebbero effetti molto positivi sul sistema economico italiano. La ricerca di un lavoro più qualificato porterebbe sia a un aumento dei salari che a un contemporaneo incremento della produttività, con effetti benefici nel lungo periodo sul Pil.
Durante la parte terminale della pandemia negli Stati Uniti è stata coniata una nuova definizione dell’economia, Yolo economy, dall’acronimo di ”You only live once” (vivi una sola volta), un nuovo approccio all’economia che mette al primo posto la qualità della vita. Per i dipendenti, questo vuole dire cambiare lavoro, perseguire i loro impegni secondari, salire verso altre opportunità che una volta erano solo un desiderio o persino lasciare per sempre il posto di lavoro tradizionale.
La mentalità YOLO può sembrare scoraggiante per molti datori di lavoro, ma è un movimento generazionale che deve essere riconosciuto. Tenendo conto della mancanza di interazione sociale e della capacità di lavorare da qualsiasi luogo, la Generazione Z crede che il gioco vale la candela…
Dichiarato in un sondaggio Microsoft, "Gen Z ha riportato difficoltà a sentirsi coinvolti o entusiasti del lavoro, a scambiare una parola durante le riunioni e a portare nuove idee sul tavolo".
In entrambi i casi, sia che si tratti di un fenomeno temporaneo o permanente, sarà poi necessario indagare le conseguenze delle dimissioni dei lavoratori: ancora non sappiamo infatti se chi lascia il suo posto di lavoro sale oppure scende la scala del mercato del lavoro. Le risposte a tutti questi interrogativi saranno importanti per capire quali politiche pubbliche scegliere per accompagnare e gestire le nuove tendenze nel mercato del lavoro, per incrementare i livelli di produttività del nostro paese e garantire maggior benessere ai lavoratori.
Bibliografia:
https://www.censis.it/rapporto-annuale/55%C2%B0-rapporto-sulla-situazione-sociale-del-paese2021-0
https://www.censis.it/sites/default/files/downloads/La%20societaitaliana_2021.pdf