Il primo ministro finlandese Sanna Marin ha lanciato la proposta di una giornata lavorativa di sei ore come soluzione per migliorare l'equilibrio tra lavoro e vita privata.
Di sicuro non è un' idea nuova, ma è un progetto che ha preso piede in maniera spontanea nel trascorrere degli anni. A fine XIX secolo, nelle filande torinesi, le operaie lavoravano in media 16 ore al giorno; la situazione rimase così invariata fino al 1899, con l'emanazione di una legge che obbligò l’interdizione del lavoro oltre le 12 ore. Questo è solo un episodio, che durante gli anni si è ripetuto fino ad arrivare nei nostri giorni (in Italia), formalizzandosi nella normativa regolata dal D. Lgs. n. 66/08.04.2003 "Riforma della disciplina in materia di orario di lavoro in attuazione delle direttive 93/104/Ce e 2000/34/Ce".
Attualmente in Italia le ore di lavoro sono fissate a 40 settimanali; modificabili in senso riduttivo dai contratti collettivi, mantenendo l’obbligo di riferire l’orario normale alla durata media delle prestazioni lavorative in un periodo non superiore all’anno. In ogni caso, il numero massimo non può superare le 48 ore.
In ogni paese la media di ore di lavoro è variabile, nonostante la tendenza generale sia quella di ridurre progressivamente, come nel caso della Francia, che attualmente ha stabilito 35 ore settimanale. La Danimarca invece vanta il numero più basso, con 1380 ore/anno, segue la Francia (1505 ore/anno), Italia 1718 ore/anno, Spagna 1686 ore/anno.
E tutto questo cosa ci insegna? Sebbene gli orari di lavoro si siano ridotti durante gli anni, le ragioni dietro non sono le stesse.
In primis nuove tecnologie hanno permesso di ridurre la necessità di personale, soprattutto in ambito industriale ed agricolo. Anche le situazioni socio-economiche in diversi periodi storici hanno favorito questi cambiamenti, cosi come guerre ed altri avvenimenti sociali. Il tempo, come il lavoro, è diventato mercificato - una recente eredità del capitalismo industriale. Tuttavia, la logica del tempo industriale non è al passo con le condizioni odierne, in cui le comunicazioni istantanee e le tecnologie mobili comportano nuovi rischi e pressioni, nonché opportunità. Passare a orari di lavoro retribuiti molto più brevi offre una nuova via per uscire dalle molteplici crisi che affrontiamo oggi.
Molti di noi consumano ben oltre i propri mezzi economici e ben oltre i limiti dell'ambiente naturale, ma in modi che non riescono a migliorare il nostro benessere - e nel frattempo molti altri soffrono la povertà e la fame. La continua crescita economica nei paesi ad alto reddito renderà impossibile raggiungere obiettivi urgenti di riduzione del carbonio. L'ampliamento delle disuguaglianze, un'economia globale in fallimento, le risorse naturali gravemente impoverite e l'accelerazione del cambiamento climatico rappresentano gravi minacce per il futuro della civiltà umana.
Oltre questo, ci sono studi che dimostrano che lunghe giornate di lavoro possono aumentare il rischio di malattie. Nello studio di meta-analisi di Virtanen (2018) accennano che l'associazione tra lunghe giornate di lavoro e sintomi depressivi fosse più forte nei paesi asiatici, inclusi studi in Giappone, Corea del Sud e Thailandia, rispetto al resto dei paesi dell'Europa, del Nord America e dell'Australia. Le ragioni di questa differenza regionale non sono chiare, ma potrebbero coinvolgere differenze culturali e di politica sanitaria sul lavoro tra le società asiatiche e quelle occidentali. Invece la meta-analisi di Kivimaki (2015) mostra che i dipendenti che lavorano per più ore hanno un rischio di ictus più elevato rispetto a quelli che lavorano con orari standard.
Tuttavia, ci sono anche altri motivi per cui la riduzione dell'orario di lavoro potrebbe portare maggiori danni, in questo caso, ambientali. La riduzione dell'orario di lavoro può portare al deterioramento ambientale se inasprendo i mercati del lavoro e aumentando i salari, il capitale e l'energia sostituiscono i lavoratori.
Storicamente parlando, la riduzione delle ore lavorative negli ultimi 100 anni è stata accompagnata da un maggiore, non minore, utilizzo delle risorse e dalle emissioni di gas serra. Quando Henry Ford ha introdotto un giorno in più di svago per i suoi lavoratori, il suo obiettivo era che acquistassero e viaggiassero di più con le sue auto, non che consumassero di meno.
D'altra parte, c'è sempre la possibilità che più tempo libero possa essere destinato ad attività più "soft", come leggere e giocare, passare il tempo con la famiglia, "non fare nulla", investire nell'educazione personale, ecc. dipendono dai prezzi relativi dei diversi beni di consumo e per il tempo libero. La regolamentazione delle norme ambientali e la tassazione dei beni ambientali e delle esternalità possono spostare tali prezzi rispetto ai beni ad alta intensità di risorse e fornire incentivi per forme di consumo e tempo libero meno impegnative.
Andre Gorz, un padre intellettuale del movimento per la decrescita, ha affermato che una politica di riduzione del tempo nel lavoro salariato funzionerà solo se il governo interverrà per fornire le infrastrutture necessarie per il lavoro e il gioco non salariato.
Referenze:
https://data.oecd.org/emp/hours-worked.htm
https://smallbusiness.chron.com/advantages-disadvantages-reducing-working-hours-42683.html
https://en.wikipedia.org/wiki/Working_time#European_countries
Virtanen, M., Jokela, M., Madsen, I. E., Magnusson Hanson, L. L., Lallukka, T., Nyberg, S. T., ... & Burr, H. (2018). Long working hours and depressive symptoms: systematic review and meta-analysis of published studies and unpublished individual participant data. Scandinavian journal of work, environment & health, (3), 239-250.
Kivimäki, M., Jokela, M., Nyberg, S. T., Singh-Manoux, A., Fransson, E. I., Alfredsson, L., ... & Clays, E. (2015). Long working hours and risk of coronary heart disease and stroke: a systematic review and meta-analysis of published and unpublished data for 603 838 individuals. The Lancet, 386(10005), 1739-1746.
Kallis G, Kalush M, O.'Flynn H, Rossiter J, Ashford N. “Friday off”: Reducing Working Hours in Europe. Sustainability. 2013; 5(4):1545-1567.