Come affermato nel Manifesto di Rivolta Femminile: «Il femminismo è stato il primo momento politico di critica storica alla famiglia e alla società».
Quasi tutti i popoli antichi ritenevano che la donna dovesse essere del tutto subordinata all'uomo: la famiglia di tipo patriarcale infatti, caratterizzava la società presso i persiani, i Greci, i Romani.
Per definizione il femminismo è il movimento politico, culturale e sociale nato storicamente in Francia durante l'Ottocento, che ha rivendicato e rivendica pari diritti e dignità tra donne e uomini.
Più nello specifico nel 1792, Olympe de Douges presentò al governo rivoluzionario una "Declaration des Droits des Femmes", all’interno della quale venivano richiesti per le donne pari diritti civili e politici.
Al di là della Manica poi, circa una anno dopo venne pubblicato un libro intitolato "Vindication of the Rights ofWoman" di Mary Wollstonecraft, che segnò l'inizio del movimento femminista in Inghilterra.
Ma fu solo in seguito al testo dell'inglese Jhon Stuart Mill "The Subjection of Woman" del 1869, che le donne inglesi ottennero il diritto di voto nei consigli municipali e nei consigli di contea (1880).
Dopo la Prima Guerra Mondiale le suffragette ottennero i primi successi: in una situazione in cui si era resa necessaria la sostutuzione degli uomini partiti per il fronte, le mogli vennero assunte a lavorare nelle fabbriche e incaricate di ricoprire i ruoli chiave della società. Quando poi il conflitto ebbe termine, non fu più possibile negare loro i diritti concessi.
Nel 1919 le donne ottennero l’emancipazione giuridica ampliando le funzioni di tutela, vedendosi riconosciuta la facoltà commerciale e facendo abolire l’obbligo dell’autorizzazione maritale sulla gestione dei propri beni.
Il movimento femminista aveva fatto molta strada non solo in Inghilterra e negli Stati Uniti, ma anche in quasi tutti i paesi d'Europa, dove le donne riuscirono ad eguagliare l'uomo in tutti i campi e ad ottenere persino il diritto di voto.
In Italia lo ottennero nel 1923, in occasione delle elezioni amministrative; tuttavia tale diritto non trovò applicazione a causa della riforma fascista degli enti locali.
Il movimento ha vissuto poi una seconda fase a partire dagli anni '60 in America, quando le donne iniziarono a chiedere parità sul posto di lavoro, più rispetto all'interno delle mura domestiche e libertà sessuale, anche attraverso l'uso della pillola anticoncezionale, introdotta negli Usa nel 1961.
Nonostante anni e anni di dure lotte però, la vera parità dei sessi è stata raggiunta solo sulla "carta": la stabilisce la legge, ma non l' opinione pubblica.
L' antifemminismo è ancora vivo, pur se latente, presso larghi strati della società: persino in coloro che -a parole - si proclamano favorevoli alla parità.
Oggi le donne lavoratrici aspirano ad abbattere gli ostacoli che di fatto ne limitano ancora la presenza tra i vertici aziendali e dirigenziali in molti settori ritenuti a lungo appannaggio maschile. Ma chiedono anche e soprattutto di cancellare il divario salariale ancora esistente e di abbattere le barriere che impediscono, soprattutto alle madri, di rientrare nel mondo del lavoro dopo la maternità. Tali rivendicazioni hanno trovato spazio anche in occasione del G7 delle Pari Opportunità a Taormina, il 15 e 16 novembre scorso.
Come dice l’ultimo World Economic Forum di Davos: la parità di genere resta una priorità (così come la salute delle donne tra carichi di lavoro e cure familiari).
A livello globale gli uomini possiedono ancora il 50% in più della ricchezza netta delle donne e controllano oltre l’86% delle aziende. Le cose non vanno meglio per la parità salariale: il divario retributivo di genere, pari al 23%, vede le donne in posizione arretrata a parità di mansioni.
Sarà anche per questo che in Francia, dove soltanto il 6% delle aziende rispetta l’uguaglianza salariale tra uomini e donne a parità di impiego, Macron ha imposto alle aziende la pubblicazione della differenza di remunerazione e la parità nelle promozioni. Un esercizio di trasparenza che sarà avviato subito per le aziende con mille o più dipendenti. Se non rispetteranno le misure, avranno tre anni per rimediare alla situazione, pena di sanzioni pecuniarie.
E l’Italia? L’ultimo report del World Economic Forum sulle disparità di genere conferma: su 149 Paesi, l’Italia occupa la settantesima posizione.
Sta tutto qui il motivo per cui le “donne delle aziende” stanno volgendo uno sguardo nuovo al femminismo, in parte contaminandolo: nel linguaggio, nelle strategie di risposta, nel dialogo con gli uomini che in una azienda necessariamente deve avvenire, nella negoziazione per ottenere una reale parità di genere, oltre il solo “rumore di fondo”.
Perché il femminismo è questo. Impegnarsi attivamente per una società in cui uomini e donne abbiano pari diritti, ma partendo dal riconoscimento che la disuguaglianza di genere esiste.