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27/03/2019

Il conclusionismo

La vita ha un senso e il nostro compito è quello di trovarlo oppure è la vita in se stessa il senso di tutto?

La vita ha un senso e il nostro compito è quello di trovarlo oppure è la vita in se stessa il senso di tutto? Io valgo nella misura in cui ho costruito, realizzato, prodotto, portato a termine, concluso cose e attività oppure il mio valore come persona sta semplicemente nel vivere intensamente la vita in ogni suo istante, con passione, amore, curiosità e voglia di crescere, evitando il più possibile i condizionamenti?
Le filosofie orientali, Buddismo e Taoismo soprattutto, insegnano da millenni che il segreto della felicità sta nel saper vivere qui e ora. Una massima affascinante, che però pochi riescono ad applicare, forse perchè non trova terreno fertile dentro di noi e quindi resta semplicemente una bella frase da citare di tanto in tanto. E se il problema dipendesse dal fatto che nella nostra società, da millenni, viene veicolato un messaggio preciso ma fuorviante che ci costringe a vivere costantemente sotto pressione sviluppando limiti e disturbi mentali che ci impediscono di sfruttare appieno tutte le nostre potenzialità?


Fin da piccoli, la famiglia ci instilla l’idea che dobbiamo smettere presto di giocare e fantasticare e dobbiamo imparare a utilizzare gli strumenti e l’ambiente circostante per costruire delle cose, apprendere un mestiere, produrre dei risultati e portare a termine sempre tutto ciò che abbiamo iniziato. Il messaggio è chiaro: la vita consiste fondamentalmente in cicli che si suddividono in progettazione, esecuzione e conclusione.     
Se ci pensate bene, tutto ciò che facciamo attraversa queste tre fasi. Siamo incitati fin da bambini prima dalla famiglia, passando quindi per la scuola e la società, a progettare, eseguire e portare a termine una cosa dopo l’altra. Gli studi, l’attività sportiva, il lavoro, la vita sociale e lavorativa, devono essere tutti rigorosamente scanditi dai risultati. I risultati hanno sempre la priorità rispetto alle attività e alle cose stesse.
A scuola siamo costantemente incitati a studiare bene e tanto ma per prepararci agli esami, cioè a tappe intermedie o finali che rappresentano un termine, una conclusione, un traguardo. Nello sport veniamo giudicati non tanto per la passione che dedichiamo allo stesso, ma per i risultati che otteniamo. Sul lavoro accade lo stesso e nella vita sociale il nostro valore è direttamente proporzionale a ciò che abbiamo costruito, realizzato o accumulato.    
Che questa sia la realtà è confermato anche dalle espressioni che usiamo spesso per definire gli altri. Vi siete mai accorti per esempio, che alcune delle frasi più utilizzate quando ci riferiamo agli altri sono: “lui è un grande imprenditore, ha costruito un’impresa importante... ha accumulato tanto denaro...", oppure "lei è una  scrittrice straordinaria ha venduto tanti libri...”
Insomma, ciascuno sembra essere tanto più grande, capace, intelligente e felice nella misura di quante cose ha portato a termine, ciò che ha concluso. Successo e felicità sembrano essere intrinsecamente legati ai risultati e non alla passione e l’amore che si dedicano alle attività e alle attività stesse. D’altro canto, quando vogliamo definire una persona che consideriamo fallita spesso usiamo l’espressione “non ha concluso nulla nella sua vita...” Siamo così vittime del “conclusionismo”, se mi permettete il neologismo.      
Ecco allora che per tutta la vita il condizionamento a portare a termine, concludere, produrre risultati, produce uno stress continuo che sicuramente è alla base di tante patologie mentali. Come potrebbe essere altrimenti se guardando intorno a noi vediamo solo sportivi professionisti che mostrano dei premi a testimonianza dei risultati ottenuti o ricchi imprenditori che misurano il loro valore sulla base di quanti soldi hanno accumulato.        
Chi non si è chiesto almeno una volta: “Che senso ha la mia vita, cosa ho concluso fino ad ora?” E riferendosi ai modelli che gli propone la società, sente di non aver realizzato nulla e viene assalito dalla depressione. Ma forse il problema è dato solo dal non sapersi porre le domande giuste.


Le domande che ci aiutano a uscire da questo circolo vizioso che ci mantiene schiavi, sono diverse. Prima di tutto davanti ad ogni cosa o scelta potenziale dovremmo sempre chiederci un serio e sano Perchè? Come sanno da sempre i bambini, chiedere sempre “perchè?” è un passepartout che apre molte porte. Quindi vengono altre domande come ad esempio: ma è tutto quì? Io cosa voglio veramente? Cosa desidero? Di cosa ho realmente bisogno? Le ultime tre sono particolarmente impegnative, tuttavia non vanno considerate come una richiesta diretta al nostro inconscio, che come una sorta di angelo custode dovrebbe dirci cosa ci manca. Piuttosto vanno considerate e utilizzate come strumenti che ci aiutano a creare una mappa, stabilire una rotta, e quindi la direzione in cui muoverci. Ma il cammino lo dobbiamo intraprendere noi. E a guidarci dovrebbero essere sempre la nostra passione, il desiderio e la curiosità.            
Ad esempio, se scegliamo un posto di lavoro in base a quanto è vicino a casa, lo stipendio che guadagneremo o quanto ci sentiremo comodi, la vita non cambierà mai. Resteremo nella nostra zona di comfort, dove moriremo un po’ ogni giorno di noia, per la routine ripetitiva e la mancanza di stimoli.


Tuttavia, se sceglieremo il nostro lavoro pensando a cosa ci piace e soddisfa veramente questo non sarà faticoso e limitante, ma terminerà per arricchire la nostra vita obbligandoci ad ampliare continuamente la nostra zona di comfort. Si tratta di un importante cambio di prospettiva, perché si deve iniziare a pensare a quello che ci piace e desideriamo, e poi scegliere di conseguenza il cammino che ci porterà in quella direzione.  
Se nella tua vita sono solo i risultati ciò che contano e ti sentirai normale, felice e realizzato solo quando avrai portato a termine tutto ciò che ti sei proposto, allora la tua mente sarà sempre nel futuro. Il futuro per te rappresenterà il punto di arrivo, la commissione d’esame alla quale rendere conto del tuo operato. Così ti perderai il qui e ora, ti sentirai sempre sotto pressione per raggiungere i risultati che saranno sempre e solo nel futuro. E alla fine della vita, quando ti chiederai che senso ha avuto vivere, non avrai una risposta, potrai solo menzionare dei risultati, spesso solo vuoti numeri.


Il segreto consiste nel considerare il futuro come l’energia che crea e determina il tuo sviluppo, la tua crescita. Non devi considerare il futuro come un traguardo, un esame al quale offrire dei risultati. Piuttosto devi lasciare che il futuro venga verso di te come un vento caldo che ti trasmette sensazioni e immagini. Attraverso l’intuizione, l’immaginazione e la percezione, riuscirai allora a intravedere cosa sei già nel tuo futuro, e con l’aiuto dell’amore e della passione riuscirai a vivere intensamente qui e ora, istante dopo istante, crescendo ogni giorno di più e trasformandoti in una persona nuova.



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